di Eva Passeri
Chi non si è mai soffermato a guardare delle vecchie foto, chiedendosi dove fossero finite tante di quelle caratteristiche che sembravano appartenergli? Tutti si rendono conto di come la vita sia un vortice in continuo movimento, ma una domanda sorge spontanea: quando tutto cambia, cosa rimane? Qual è l’essenza delle cose che non muta?
Si prenda come esempio ciò che avviene nel corpo umano: si sa che i globuli rossi presenti nel sangue hanno una vita media di 120 giorni, dopodiché muoiono, perciò si può considerare che periodicamente, a distanza di qualche mese, il corpo di ciascun individuo avrà al suo interno del sangue sempre diverso. È già una bella fetta di cambiamento! Ogni parte di ciascun essere si trasforma: le stesse cellule della pelle sono in continua evoluzione, tutta la superficie che ricopre ogni corpo non è la stessa che lo ricopriva l’anno precedente, e così via. E questo vale anche per muscoli, visceri, tutto ciò di cui l’organismo è composto. Ci si domanda, allora, perché l’essenza non cambi, perché ciascuno rimanga sempre se stesso, nonostante tutti questi cambiamenti. Evidentemente deve esserci qualcosa che non è soggetto a modificazioni e che mantiene, preserva l’essere. Si subisce un cambiamento, ma si resta gli stessi di prima. Questo perché la transizione che è avvenuta si è poggiata su una base forte, rimasta lì tenace come una boa in mare aperto. La totalità del corpo si dimostra più forte delle parti prese singolarmente. Questo avviene anche a livello caratteriale: possono cambiare alcuni tratti, ma la personalità complessiva, intesa come totalità di tanti piccoli elementi che entrano instancabilmente in sinergia, rimarrà quella.
In “Giochiamo con la filosofia”, il filosofo E. Bencivenga propone un semplice esempio su cui riflettere, raccontando come la sua macchina, nel corso di tanti anni di fedele servizio, abbia subito modifiche tali da renderla quasi irriconoscibile. Le ha cambiato l’olio, sostituito gli specchietti e le ruote più e più volte, installato un nuovo motore e anche un’autoradio! Perché, quindi, dispiacersi al momento della rottamazione? Alla fine si stava separando da qualcosa che non era più ciò che aveva conosciuto all’inizio e imparato ad amare. Perché non dispiacersi ugualmente per il vecchio motore? O per le ruote usurate? Per lo specchietto sostituito? Perché, aldilà di ogni cambiamento subito dall’auto, era rimasta la sua essenza, ciò che rendeva quella la sua macchina: nonostante avesse dovuto cambiare pezzo dopo pezzo i vari elementi che la costituivano, rimaneva comunque la sua auto.
Tutto ciò per riflettere che, forse, una delle infinite strade percorribili nell’adolescenza, quando tutto intorno ai ragazzi si trasforma e sembra subire dei cambiamenti – a volte anche indesiderati o inattesi, per certi versi, e di fronte ai quali in molti vorrebbero accelerare i tempi o magari fermarsi al punto di partenza – è quella di mostrare ai ragazzi e alle ragazze la totalità, “ciò che rimane dopo”, guidandoli verso la consapevolezza del loro essere speciali, unici e irripetibili. Metterli davanti a uno specchio e dir loro che, anche se in quel momento potranno non essere esattamente come desiderano, avere il tono di voce che vogliono, delle belle gambe, bei fianchi, muscoli definiti e fisico longilineo, capelli, altezza o peso ideali, non importa. Perché tutte queste cose cambiano nel tempo, ma l’essenza di ciascuno rimane invariata, ed è la cosa più preziosa al mondo. Rimarrà sua per sempre, lo accompagnerà ovunque. In un certo senso, tutti gli altri pezzi sono gli accessori che completano il “kit di base”: una splendida persona, un essere umano.