Versi

~ Poesia ~

di Alessandro Gambardella

Potremmo cercarci
al limitare della notte
indecisi sul da farsi,
se indugiare nella penombra
o far luce su di noi;
magari lasciarci attraversare
da un incrocio,
affidarci a una via
che porta lontano,
oppure sederci
e dire
“andiamo”.


~ La Fiducia ~

di S.M.

Un bambino che tende la mano
mentre l’onda s’infrange lontano;
passi incerti nel lungo cammino
gliela stringe il papà ch’è vicino.

Quando inciampa sull’arida rena
l’entusiasmo rallenta, ora frena
ma cadere giammai lui potrà:
a sorreggerlo c’è il suo papà.

Un lupetto che lascia la tana
(tutt’intorno natura è  sovrana)
s’avventura nel bosco più fitto
sulle tracce del buio e sta zitto;
salta e gioca, rincorre quell’ombra,
non son stanche le giovani membra
ma il pericolo è sempre in agguato
e gli mette sul collo il suo fiato.

Notte fonda, la strada è smarrita,
il lupetto ora rischia la vita;
non dispera, sa che il suo richiamo
mamma lupa udrà da lontano.

Un malato che aspetta in corsia
(di dolore è lunga la scia)
fior di lacrime ha sempre versato,
dai suoi cari s’è ormai separato
ché il destino a volte è crudele:
cerchi gioia ma lui ti dà fiele.

Poi un bel giorno ritrova il sorriso,
riconosce i tratti del viso
di quell’angelo in camice bianco
sempre vigile, attento, mai stanco
che si prodiga intorno al suo letto
dispensando ora cure ora affetto.

Una spiga di grano nei campi
scruta in cielo il bagliore dei lampi.
È assetata e attende la pioggia
come il naufrago l’ultima spiaggia.

Ne ha bisogno per crescere forte
e varcare un domani le porte
per sfamar col suo pane fragrante
d’ogni angolo tutta la gente.

Non ha dubbi, mantiene la fede,
sa che madre natura provvede
e alla prima goccia che scende
dalle nuvole a guisa di tende
s’erge fiera e rialza la testa:
addio siccità, comincia la festa.


~ Poesia ~


di Franco Arminio

Non insistere, mi dico ogni volta,
e poi torno a insistere
e il gioco è sempre uguale.
Bisogna seguire la propria urgenza
senza pensare che sia urgente 
anche per gli altri.
é un miracolo che a volte
qualcuno ci veda
e noi vediamo qualcuno,
per il resto sono sviste, abbagli,
equivoci del cuore e della mente.
Non insistere, non devi fare ogni giorno
il colpo della tua vita, impara
a considerare memorabile l’attesa,
il tempo morto, il vuoto.
Se non vuoi riempire di morte
la tua vita
non credere più di tanto
a imprimerti negli altri, 
considera con amicizia le cose mute,
pensa a una montagna cilena,
a un pesce nell’atlantico,
pensa al grande tesoro
degli sconosciuti,
brinda alla loro salute.


~ Nuovi orizzonti ~



La pazienza non è mai stata il mio forte, eppure dovrò aspettare. Sono appena andata via e già avrei voglia di tornare, più bella, luminosa, splendente, vivida, con quella luce intensa che abbaglia e riscalda, che ti apre il cuore perché sai che ogni cosa apparirà come una nuova alba e i sogni, le speranze, le consapevolezze si rafforzeranno, fragili steli di rosa che pian piano tenderanno ad ergersi sempre più robusti, e verdi e alti e possenti. Sono andata via, ma non temere, non sono scomparsa del tutto, non sparirò dalla tua vita. Sto solo aspettando il mio turno, in un angolo riparato del globo dove ritempro lo spirito e le membra, pronta a ripresentarmi all’appello più smagliante che mai. Per coprirti di amore e calore e sole. Tanto sole. Quella linfa vitale che nutre e dà vigore dopo mesi di freddo e di stenti, di patimenti acuti e lancinanti, quando il ghiaccio avvolge il tuo spicchio di terra e ti sembra di morire, quando le eteree illusioni di un marzo tiepido restituiscono il desiderio di vivere e poi di colpo lo strappano via alla prima gelata tardiva, sepolto sotto l’ultima neve di primavera. Tornerò e solo questo ti deve bastare, mentre i venti di tempesta si abbattono sui nudi rami scarnificati, e le foglie giacciono marcite sul prato, giallo tappeto umido e molliccio sul quale scivola il tuo piede incerto. Tornerò e solo questo ti deve bastare per guardare al futuro con occhi colmi di gioia. Verso nuovi orizzonti in cui il cielo si fonderà con l’azzurro del mare.

l’Estate



~ Poesia ~

di Franco Arminio

Se il nostro corpo è un testo
la malattia è un refuso.
La medicina del futuro 
è l’attenzione alla lingua.
Badate prima di tutto alle parole,
le parole fanno tempeste
nella carne, possono fare buchi,
possono fare tane, trame, tele
di ragno.
Il male e il bene sono fasi, frasi,
sono mete, metafore
che legano un corpo all’altro,
un giorno all’altro.
Non dire una parola
che non sia felice di essere detta,
non ascoltare una parola
che non sia necessaria
come l’acqua, inafferrabile
come il vento.




~ Curare la Terra ~



Questo è il mio grido di dolore. Si leva alto nel cielo offuscato dallo smog. Lassù, dove perfino le rondini fanno fatica  a volteggiare e le nuvole a rincorrersi, salgono i miasmi della sporcizia abbandonata in mezzo al verde. E il respiro affannoso dei boschi, quei miei grandi polmoni ormai  saturi di particelle inquinanti, risuona inquietante. Sembra il rantolo di un animale braccato, che corre a perdifiato per salvarsi.
I rifiuti gettati ovunque senza pietà intasano le sorgenti e le foci dei  fiumi, vene e arterie in cui fluisce da sempre la linfa della vita, che nutre, dà energia e irradia calore fin negli angoli più remoti.
Il mio cuore, il mare, immenso e profondo come l’amore che provo per tutti gli esseri viventi, non palpita più, corroso dall’indifferenza generale e avviluppato nella plastica, che ne asfissia  il regolare, costante moto ondoso e poi finisce nel ventre delle creature degli abissi, condannandole ad una lenta agonia; e poi  s’impiglia nelle creste aguzze della barriera corallina, smorzandone il colore vivido in un pallore di morte.
Questo è il mio grido di dolore. Perché io sono la Terra. E soltanto voi umani, voi, figli miei, potete curarmi. Lo dovete innanzitutto a voi stessi. E a coloro che verranno dopo di voi. Se avrete cura di me, e continuerete a farlo nel tempo, l’aria tornerà cristallina, la pioggia placherà la mia arsura, gli alberi tenderanno le loro braccia frondose verso un cielo blu cobalto dove riecheggerà il canto dell’usignolo, i corsi d’acqua scorreranno limpidi e gorgoglianti  irrorando di sangue vivo l’intero organismo, gli oceani tempestosi  pomperanno ossigeno fin dentro le più piccole terminazioni periferiche.
E dalle montagne, i miei occhi, non scenderanno più frane rovinose che come lacrime di sassi  travolgono tutto ciò che incontrano lungo la strada, le piante, gli animali; bensì cascate d’acqua pura scrosciante per lavare le sofferenze e far tornare il sorriso. E quei miei occhi , vigili sentinelle, brilleranno di una luce più intensa. Scruteranno dall’alto ogni cosa con uno sguardo nuovo, amorevole, benefico. Vedranno lontano, oltre l’orizzonte. E il futuro apparirà più roseo. Un’alba di rinascita.  Di speranza.

Perché io sono la Terra, l’origine, la vita. Io sono la madre. E non vi abbandonerò.

la Terra





~ Quattordiciluglioduemilasei ~


di Maura Misci


Cerco la fuga.
Ascolto la voce del fiume
che si riversa in canto
a pulire l’anima
accarezzando mani e piedi
amandoli
in emozione tenera
e sfioro questo fluire
con le dita
con la mente
restando immobile,
ad occhi aperti,
riconducendomi dentro
nell’incanto dell’acqua.






~ Come Settembre ~


di Sandra Marcellini

Sbavano nebbia i giorni,
nelle albe sbiadite tra i filari.
In sintonia con i capricci del vento
l’oggi si accartoccia frettoloso su se stesso
voraci nubi inghiottono spicchi di cielo.
La luce fioca del crepuscolo

prende per mano l’ombra della notte.
Levigate zolle specchiano la luna e,
canute
rimandano un’ alchimia di odori e di presagi.
Danzano atomi di ripensamenti!
Una grazia antica quasi austera,

nel frinire della chioma del noce,
è una musica nel grembo della sera, 
il palpito scandito di una quiete viva,

tesse la tela del mistero.

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