di Daniela Di Pinto
Ci sono luoghi immensi come l’India, un continente complesso, ricco di contraddizioni e vulnerabilità, che appare muoversi alla velocità della luce. Atterrare lì per la prima volta significa essere travolti da ondate di movimenti. Tutto si muove incessantemente: persone, animali, mezzi pubblici… Se ti fermi, subito qualcuno ti chiederà se hai necessità di spostarti. Non c’è tempo per fermarsi. Tutti sono impegnati in qualche attività.
Alcuni villaggi del Tamil Nadu che hanno resistito alla modernizzazione rimangono luoghi in cui regna sovrana l’ospitalità. Impossibile essere pervasi da sensazioni di solitudine. Anche in condizioni di disorientamento, ti risponderanno in tamil e ti porteranno comunque a destinazione. Se viaggi sui loro autobus e hai già superato la paura di morire – considerate le loro velocità -, potresti iniziare a parlare con qualcuno e subito riceveresti un sorriso e, molto probabilmente, anche un invito nella sua casa. Magari diventerai un ospite d’onore.
È accaduto quella mattina. Ero in una scuola e mi sono avvicinata ad alcune collaboratrici scolastiche. Sembravano stanche, mangiavano sedute a terra in un corridoio esterno alla scuola. Non potevo non fotografarle: nella luce risaltava il contrasto tra i colori dei loro abiti e quello del muro sul quale erano appoggiate. Do loro un saluto in tamil, chiedo di poter scattare qualche foto, ci sorridiamo. Siamo amiche. Quello stesso giorno, di pomeriggio, camminavo nel villaggio vicino l’orfanotrofio che mi ospitava. Perlustravo le stradine, accompagnata da bambini. Camminando, scorgo una delle due collaboratrici scolastiche incontrate quella mattina. Sì, è proprio lei, sta lì sulla porta a guardarmi, urla a squarciagola per richiamare la mia attenzione. Con entusiasmo mi invita a entrare nella sua piccola casa. Tolgo le scarpe, penso di fare solo un breve saluto prima di andar via. Lei mette una sedia al centro della stanza, una sala completamente vuota, e mi invita a sedermi. Tutti i bambini mi accerchiano, la signora mi guarda felice. Mi sento in imbarazzo. Vuole offrirmi acqua, te o caffè. Declino l’invito e ci guardiamo. Scorgo una foto su una mensola e domando chi sia: è il suo primo marito defunto. Ora ha una nuovo compagno accanto a sé. Non sembra sia stata una domanda scomoda. Scorgo i suoi piccoli santuari sulle mensole: statue induiste e immagini cristiane possono coesistere. Accende gli incensi, ci sono dei fiori, mi fa capire che è il suo luogo sacro, di preghiera. Mi disegna il terzo occhio sulla fronte, prende uno specchio e fa riflettere la mia immagine. Mi spiega che sta per convertirsi, per condividere col suo nuovo marito la medesima religione: da indù diventerà cristiana. Mi mostra la sua casa senza letti né cuscini, ci sono solo stuoie che all’occorrenza si adagiano sul pavimento; non ci sono scarpe, la cucina è essenziale, non vedo il bagno. Tutta la loro vita sembra esistere all’esterno. In quei pochi metri quadri interni si mangia, si dorme e si prega, nient’altro. Fuori ci sono donne anziane a terra, sbucciano semi che non riconosco con le loro mani esperte. Le donne sono tutte avvolte nei loro coloratissimi sari, i capelli spesso intrecciati con delle ghirlande di fiori bianchi. I loro piedi sono a contatto con la terra di quelle strade sterrate, i passi disinvolti. Tutte le fronti con cui mi interfaccio mostrano il terzo occhio o, a più riprese, delle strisce orizzontali. Tolgo il disturbo. Nel frattempo, tutte le famiglie di quella stradina si sono disposte in gruppetti sulle entrate delle proprie abitazioni. Ci guardano avanzare, sembra che stiano osservando una processione. Gli uomini non sono ancora rientrati. Salutiamo tutti. I bambini dell’orfanotrofio mi dicono che si sta facendo buio, che è ora di rientrare e che devo stare attenta a non passare da quella parte della stradina sterrata, perché potrebbe cadermi addosso un palo della luce pericolante. Li ascolto, mi guidano verso casa.
In India quando tramonta il sole anche la luce ha fretta di sparire. Accanto a noi si susseguono campi di riso, intervallati da tratti paludosi che rispecchiano le ombre delle palme alte che ci circondano. Il buio avvolge il nostro rientro a casa.
Grazie Daniela! Per averci portato in India …..proprio insieme a te, anche se solo per pochi minuti
Daniela ma hai fatto un capolavoro! Grazie! Sembra un cortometraggio! Ho potuto rivedere tutti quei vicoletti, risentire i profumi, cogliere le sfumature di quel villaggio, di quelle bellissime persone. Ho avuto la fortuna di condividere con te una parte del nostro viaggio indiano di gennaio.
Non hai semplicemente acceso una videocamera per condividere con i lettore quelle situazioni… ne hai riflesso i significati, ne hai colto i particolari, hai dato voce ai sentimenti autentici.
Grazie, scrivi ancora, siamo curiosi!