di Antonietta Podda
“La donna col bambino in braccio e l’uomo al lavoro”: avrebbe potuto essere questa la copertina di una rivista anni Cinquanta, o la descrizione di un quadretto familiare degli anni Venti del secolo scorso, quando il Nobel sardo della Letteratura, Grazia Deledda, scriveva in Canne al vento di una società patriarcale, nella quale accanto a don Zame, un padre padrone “dall’aspetto prepotente dei Baroni”, vivevano sottomesse “le donne tenute chiuse dentro casa come schiave”. Pur essendo ben lontani da quell’immagine rappresentativa del tempo deleddiano, quella scelta e diffusa dall’App istituzionale Immuni ha però contribuito a riaprire una discussione sulla rappresentazione visiva e simbolica della donna. Contestate aspramente in rete, le due icone che riproducevano antichi stereotipi della donna come “angelo del focolare” sono state subito rimosse e sostituite.
Certo è che, se è vero che un’immagine vale più di mille parole, l’infelice scelta di usare quel “disegnino” stereotipato si traduce nella rappresentazione simbolica di un “modello” che con prepotenza si ripropone continuamente e costringe le donne a un tipo di vita rinunciatario e sottomesso.
A rivelarlo sono gli ultimi dati di indagini recenti, ossia il rapporto di Save the Children “Equilibriste. La Maternità in Italia 2020” e “Mai più invisibili. Indice 2020 sulla condizione delle donne, dei bambini e delle bambine in Italia ” di Weworld.
Il quadro che emerge da quest’ultimo non è confortante e mostra come in alcune aree del Paese la distanza con le principali democrazie europee in termini di disuguaglianza tra donne e uomini stia aumentando velocemente. Nell’Indice 2020 si legge che “dal 2015 l’Italia ha avuto un costante peggioramento, passando dalla 18° posizione del 2015 alla 27° posizione del 2019. Gli ambiti in cui il nostro Paese è maggiormente retrocesso riguardano l’inclusione economica e politica delle donne e la dimensione educativa per i bambini/e.”
Ma le criticità si sono registrate soprattutto con lo sfociare della pandemia, quando le madri lavoratrici in particolare si sono trovate a gestire un sovraccarico di impegni famigliari e professionali del tutto eccezionale, e a cui Save the Children dedica un intero capitolo: “Essere mamma ai tempi del Coronavirus”. A pagare maggiormente gli effetti della crisi, però, sono i genitori single che, come si legge nel Focus redatto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “affrontano in contemporanea l’emergenza lavorativa e quella familiare. Tra questi la grande maggioranza è rappresentata da donne, trecentoduemila mamme (a fronte di quarantasettemila papà) che devono gestire lavoro e cura dei figli da sole”. Lavoro di cura inteso come attività manuale, fisica e corporea, ma che è prima di tutto presa in carico e coinvolgimento emotivo. Lavoro di cura inteso come capacità di comunicazione orientata ai bisogni, ma anche come capacità di accogliere l’altro/a. Lavoro di cura che è sempre stato tradizionalmente prerogativa quasi esclusiva delle donne e che, senza aiuti e supporti adeguati, rischia di soffocare e annullare spazi e tempi conquistati con fatica.
Un aiutino, anche se non proprio risolutivo, sono state le misure introdotte a marzo con il Decreto “Cura Italia”. Ma, come ha sostenuto recentemente la scrittrice Melania Mazzucco, “uno Stato degno di questo nome non abdica al progetto educativo delegando ai singoli la cura dell’infanzia e della formazione”. In quest’ottica, le donne schiacciate maggiormente rispetto agli uomini dagli obblighi familiari dedicano meno tempo a se stesse e alle attività formative, rischiando l’occupazione. E, come rivela Index, “a un maggiore tasso di occupazione delle donne e a un minor rischio di povertà ed esclusione delle donne corrisponde una maggiore inclusione complessiva di donne e bambini/e. Ciò dimostra che laddove le donne sono incluse dal punto di vista economico, ne beneficiano tutti: le donne stesse, i bambini e le bambine”; in altre parole, ne va del futuro della nostra società.
La cura dello Stato dovrebbe partire dal “concepire” politiche sociali ed economiche inclusive, indirizzate soprattutto alle donne, e al fondamentale insegnamento, di matrice materna, del prendersi cura e di avere cura, nel suo significato più alto: consentire di essere e di far essere.