di Sandra Marcellini
Fabulae Hyginus; citata da Martin Heidegger in “Essere e Tempo”
“La cura, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso, pensierosa ne raccolse un po’ e cominciò a dargli forma. Mentre era intenta a stabilire cosa avesse fatto, intervenne Giove. La Cura lo pregò di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsentì volentieri. Ma quando la Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome intervenne anche la Terra reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio di nome, perché lei gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice, il quale comunicò ai contendenti la seguente equa decisione: «Tu, Giove, poiché hai dato lo spirito al momento della morte, riceverai lo spirito; tu, Terra, poiché hai dato il corpo riceverai il corpo; ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere; finché esso vive sia la Cura a possederlo. Per quanto concerne la controversia sul nome si chiami, homo perché è fatto di humus.»”.
In questa antica fiaba dedicata all’essenza dell’uomo , riportata da Heidegger in Essere e Tempo, è tratta da una raccolta dello scrittore latino Igino, vissuto alla fine del I secolo a.C. E’ possibile notare similitudini con il racconto biblico, dove l’uomo viene descritto come formato dalla terra e dal soffio divino (Genesi 2,7). Nella fiaba, però, Igino dice qualcosa di più: ossia che questo essere di terra e di spirito ,non è riconducibile né alla prima né al secondo, ma ad una figura femminile chiamata Cura, che l’ha formato con le proprie mani. Così, abbiamo homo e cura finiscono per combaciare.
Il termine giunge invariato dal latino con un duplice significato, quello attivo di sollecitudine, premura, attenzione e, quello passivo di affanno, inquietudine. La seconda accezione ha dato vita al termine “sinecura” cioè “senza preoccupazione”. L’ambiguità del termine quale espressione dell’essenza umana, connota la nostra vita con l’essere attivamente piena di riguardo e l’essere passivamente esposta a preoccupazioni. Questa dualità, in analogia con la genesi e la favola di Igino, la si può ritrovare in altri testi, come nel poema cosmogonico babilonese del XII secolo a.C..”Enuma Elis”.
Antropologicamente, questa dualità ripropone la dualità originaria della struttura del cosmo: vita e morte, tempo ed eterno, essere e nulla, bene e male, etc. Le coppie di opposti, pur non essendo ascrivibili alla medesima ontologia, costituiscono contrapposizioni che esprimono una tensione strutturale che attraversa i fenomeni e da cui sorge quel dinamismo che è all’origine dell’evoluzione della materia verso la vita e dell’evoluzione della vita verso l’intelligenza. Beethoven scriveva nei suoi quaderni “Nell’anima come nel mondo fisico agiscono due forze ugualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione.”
La scienza oggi accredita questa concezione, affermando che alla base dell’universo conosciuto interagiscano due dinamiche: la forza di espansione generatasi 13,8 miliardi di anni fa, che persiste ancora oggi senza aver perso intensità, e, la forza di contrazione che consente l’aggregazione degli elementi. Siamo immersi in questa dinamica cosmica di forze opposte e complementari, tanto da poter dire che l’universo respira, proprio come l’uomo inspira ed espira, proprio come nei movimenti di diastole e sistole nel cuore.
Nel suo libro”Principio passione”, il filosofo teologo Vito Mancuso, riassume questa dinamica mediante la formula: “logos+caos= pathos”. Il logos rimanda alla forza di contrazione che porta all’aggregazione e alla comparsa dei fenomeni, mentre il caos rimanda all’espansione che scompone e crea il presupposto per nuove evoluzioni. Per questo si può definire la cura come essenza della vita: affermandolo, è come dire che siamo “relazione”. Un ganglio instabile in un divenire di connessioni, a contrarre ed espandere la nostra esistenza. Ognuno è e diviene le sue relazioni.
La cura, attiva e passiva, è il nostro pathos, la nostra identità. Tra le due accezioni del termine cura, pare prevalere quella passiva, in quanto oggi la vita è prima di tutto inquietudine, paura, fame, preoccupazione. Scriveva Aristotele che “l’essere vivente è sempre in travaglio”: lo si vede dal fatto che ogni vita richiede cura, come gli uccellini nel nido. Il significato attivo di cura viene espresso in inglese con il termine “care”. “I care”, scrisse don Lorenzo Milani sulla porta della scuola di Barbiana da lui fondata per istruire i bambini più poveri, in contrapposizione al motto del fascismo “me ne frego “.
Le parole hanno un peso e ciascuno può scegliere quelle che lo rappresentano e dalle quali si sente “curato”.