di Lilli Susca
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve”: così diceva Troisi ne “Il postino”, alludendo a quanto sia inutile che il poeta si illuda che i suoi versi funzionino come aveva immaginato, e che quelle parole scelte, quel ritmo e quei suoni rimandino alla fonte che li ha generati. Significato e significante non vanno a braccetto in poesia. Non c’è equazione che tenga nella produzione e fruizione dei versi. Stessa cosa accade con certe canzoni: uno scrive una canzone e quella prende strade talvolta imprevedibili. Un esempio? “La cura” di Battiato, della quale sono state formulate numerose interpretazioni. Qualcuno ha azzardato l’ipotesi che si tratti di una preghiera al contrario, cioè recitata da Dio all’uomo. Certo, è possibile. Evidentemente chi l’ha interpretata in quel modo aveva bisogno di leggervi proprio quello. E se ad ascoltarla fosse una persona innamorata? Cosa ci vedrebbe? Se ad averne bisogno fossero un uomo o una donna con gli occhi liquidi, persi in un ricordo? Potrebbero leggerci un inno all’amore, fra i più veri e i più potenti mai scritti. Questo perché prendersi cura dell’altro, volerlo fare a tutti i costi e con tutte le energie di cui si dispone, è la vera essenza dell’amore.
Quando si ama, semplicemente non si sopporta l’idea che l’amato soffra. Fa talmente male il solo pensiero, che ci si interporrebbe fisicamente fra quella sofferenza e l’oggetto del proprio amore con ogni mezzo, umano e sovrumano. Si è pronti a ricorrere persino a ciò in cui normalmente non si crede, pur di proteggere, salvare, evitare persino, che quel dolore sfiori l’amato, che ne venga a conoscenza. La magia? Il paranormale? Va bene! Purché non soffra. Purché sia felice. “Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare”… E cosa importa se sono solo un piccolo essere umano: quando amo, se amo, sono capace di tutto, ho i superpoteri. Questo è ciò che “serve” a chi è innamorato, e proprio non riesce a sbrogliare quella matassa nello stomaco per poter dire qualcosa che vagamente assomigli a tutte quelle cose che sono ingarbugliate là dentro, nella testa, nella pancia o chissà dove.
È così che i versi di Battiato assolvono alla loro funzione: quella di interpretare l’essenza dell’amore. Far sì che chiunque possa dire: “ti salverò”, “avrò cura di te” perché “sei un essere speciale”. Perché sei tu, proprio tu, con le tue debolezze, i tuoi difetti, le tue paure, così come sei, ad essere speciale per me, ed io amo te proprio per come sei. Questa è l’essenza. Solo che detto così suona banale. Detto da un talento come Battiato diventa un capolavoro. Cosa può succedere, invece, se si ascolta questa canzone quando non si è sicuri di essere amati? Che anche l’ultimo dubbio scompare.