di Alessandra Pignalberi
Quando a Wendy fu imposto di “diventare grande” e di cambiare stanza, non le fu dato il tempo per capire il senso di quella richiesta ed elaborare quel passaggio. Le fu solo detto: “È ora di crescere! Basta raccontare storie ai tuoi fratelli. Da domani andrai a dormire in un’altra camera!” [1]
Una frase che generò in lei smarrimento, confusione, angoscia di non essere pronta, che la portarono a rifugiarsi sull’Isola che non c’è. Solo dopo aver vissuto un’esperienza di vera autonomia e indipendenza, prendendosi cura dei bimbi sperduti, combattendo contro i pirati, fuggendo da coccodrilli affamati, si sentì pronta per tornare a casa. Era cresciuta.
Il processo di crescita è scandito da transizioni importanti, che modificano la percezione che si ha di se stessi e quella che gli altri hanno di noi.
Uno degli step più significativi nella vita di un bambino, e più in generale di un individuo, è il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria: un vero e proprio cambio di direzione, che a volte il piccolo si trova ad affrontare senza sentirsi pronto, senza avere gli strumenti necessari per farlo. Viene catapultato in un contesto totalmente sconosciuto, con nuovi ritmi, regole, richieste e aspettative. Accompagnare il bambino in questo momento fondamentale vuol dire fornirgli la giusta narrazione, il giusto spazio di elaborazione e di esperienza del suo sé che cambia forma.
Per passare da una riva all’altra del fiume occorre costruire un ponte, una trave alla volta: solo così il transitare sulla nuova sponda avverrà in sicurezza e permetterà di godere della bellezza del panorama.
I genitori e tutti coloro che lavorano con i bambini dovrebbero ritagliarsi spazi di condivisione e di riflessione su come favorire le autonomie, gradualmente, garantendo una continuità già a partire dalla prima infanzia. Potenziare lo sviluppo di un sé indipendente fin dal primo giorno di vita; far esperire al piccolo l’autoconsolazione, che non vuol dire non prenderlo mai in braccio, ma dargli il tempo di ascoltare il suono del proprio pianto; fargli scoprire gli oggetti che lo circondano, facendogli provare il desiderio di afferrarli, senza anticiparli troppo; fargli vivere la frustrazione dell’attesa e della noia per alimentare il processo creativo, da cui deriva la capacità di problem solving; permettergli di sperimentare il corpo, percepirlo, sentirlo nelle sue innumerevoli forme e, un passo alla volta, lasciargli vivere quelle esperienze transizionali che gli permetteranno di esplorare e conoscere il mondo, senza vedere la separazione dalla figura di riferimento come un abbandono, bensì come fase evolutiva del proprio Io.
Negli ultimi anni si sta ponendo tanta attenzione alla prescolarizzazione da un punto di vista degli apprendimenti didattici, anticipando così l’acquisizione della letto-scrittura, ma si tende a sottovalutare la preparazione di un bambino sul piano emotivo. Forse, in un momento dove si stanno registrando sempre più diagnosi di DSA (Disturbo specifico dell’Apprendimento), bisognerebbe porsi delle domande: si stanno davvero fornendo a questi bambini gli strumenti più adatti per prepararli a questo nuovo ingresso? È corretto parlare di disturbi esclusivi dell’apprendimento, o sarebbe più opportuno focalizzarsi anche sulle fragilità emotive che si celano dietro? È così importante far arrivare in prima elementare un bambino che sappia già leggere e scrivere, se interiormente non possiede la giusta maturità psicoaffettiva?
Nella maggior parte dei casi, gli apprendimenti vanno di pari passo con gli stati emotivi interni, perciò il bambino sicuro, autonomo, capace di elaborare strategie creative e di risoluzione dei problemi sarà anche quello che riuscirà ad acquisire più velocemente le competenze a lui richieste. Sarà quel bambino che, nel suo grembiulino nuovo, con lo zaino in spalla, al suono della campanella, correrà curioso incontro ad una nuova fase della vita. E allora sì che anche la prima elementare potrà diventare una meravigliosa avventura!
[1] Dal Film d’animazione Peter Pan, Disney 1953.