di Daniela Di Pinto
In un passo del libro “La cura dello sguardo” del poeta Franco Arminio si coglie una preghiera, quasi un’invocazione. Non ci salverà l’altro e non salveremo nessuno, non ci salveremo da soli, ci salveremo solo se continueremo a guardare la bellezza. Da dove nasce la nostra idea di bellezza? Si viene educati a scorgere la bellezza? Come fanno dei semplici occhi, sovra stimolati da mille immagini, a fermarsi, a scegliere il bello e a distinguerlo dal non bello? Forse c’è da chiedersi se c’è davvero qualcosa che può essere classificato come non bello. Sri Aurobindo, filosofo e mistico indiano, suggerisce di praticare uno sguardo volto all’equanimità. Secondo la sua visione del mondo non ci sarebbero differenze tra un pezzo d’oro e una pietra. Eppure agli occhi degli uomini le differenze esistono, ne è pieno il mondo in ogni sua sfumatura, soprattutto nel modo di classificare la realtà, le persone, le situazioni. Ci sono dei limiti tra le cose, sono quei confini oltre e entro i quali operiamo delle scelte, interpretiamo il mondo, condividiamo interessi. Molto probabilmente il segreto è continuare a guardare, perseverare nello scorgere anche il piccolo dettaglio. Imparare a dirigere la propria attenzione. Allenarsi a cercare anche quando non c’è niente da vedere, nulla da sentire. La bellezza può essere ovunque, sia nei colori dei fiori freschi accolti da un vaso prezioso che dal vuoto dello stesso vaso. Senza quel vuoto il vaso non esisterebbe. Senza quel vuoto non sarebbe possibile riempire il vaso con i fiori e vederne la bellezza. Dove si posa il nostro sguardo e fin dove può arrivare? Lo sanno bene gli scalatori quando arrampicano, hanno osservato e studiato la parete, hanno individuato delle fessure non visibili ad un primo sguardo. Riescono a salire perché si sono soffermati a osservare. Non si tratta di bloccare passivamente lo sguardo. Quando ci fermiamo a vedere un tramonto possiamo anche darci la possibilità di contemplarlo. Chi si ferma e continua a guardare, ha il potere di scegliere la sua bellezza e di proteggerla. Chi decide o chi non riesce a fermarsi, perde il potere dello sguardo, smarrisce il ritmo, dimentica la possibilità che contiene lo sguardo, i muscoli della sua sensibilità diventano meno allenati. L’anima non ricerca, non esplora, non viaggia. Ci sono dei momenti, delle tappe nella vita, in cui lo sguardo si posa inevitabilmente su luoghi bui, non ci sono spiragli all’orizzonte, lo sguardo stesso implode, si diventa ciechi, la bellezza non è visibile. A volte questi periodi possono essere interminabili, a volte non si protraggono a lungo, possono durare anche solo qualche istante. Si accavallano agli sprazzi, ai mille secondi dove si riformano i colori. Non fluisce tutto e sempre con la stessa corrente, a volte l’acqua può essere torbida, altre volte può divenire quasi trasparente. Spesso non ci accorgiamo di essere in transizione, in quell’intervallo tra una stagione e l’altra, a volte sospesi in quella pausa, in quel frangente dove niente è definito. Chi continua a cercare la bellezza impara a osservarla anche nelle pause, nelle instabilità, nei vuoti e nelle fragilità. Funamboli che guardano avanti, concentrati, ci ancoriamo a nuovi equilibri, alla semplicità di un nuovo sguardo. Guardare fuori come guardare dentro, chiudere gli occhi per ritrovarsi. Per cercarsi anche quando ci si perde. Perché non meravigliarsi di se stessi come quando ritroviamo un oggetto dimenticato, un ricordo, un oggetto smarrito? Guardarsi è un atto di profondità. Guardare è un atto sacro. Continuare a guardare diventa una disciplina. Con lo sguardo arriviamo, salutiamo, incontriamo l’altro, accogliamo, teniamo. Senza sguardo ce ne andiamo, non esistiamo, spariamo. Allora forse basterebbe solo continuare a guardare.